Si presenta con una planimetria ad aula unica, movimentata dall'apertura di cinque cappelle laterali, e con una facciata di misurata essenzialità. L’interno, sobrio e luminoso, è a navata unica con volta a botte e con lunette ai lucernai; le cappelle sono ricavate dagli sviluppi laterali, l’ampio presbiterio è rialzato e chiuso da una profonda abside semicircolare.
Il suo titolo ricorda due chiese preesistenti: Santa Maria Assunta e Sant'Emiliano, andate distrutte, di cui alcune parti furono incorporate nell’attuale edificio, quali la cappella del Rosario, alcuni altari dell’intagliatore trentino Andrea del Pozzo, pile dell’acqua santa, alcuni quadri.
Nell’interno si possono ammirare quadri di scuola bresciana, un crocifisso del XV secolo, confessionali del XVIII secolo, splendidi armadi settecenteschi nella sagrestia. Da notare inoltre l’altare maggiore, in marmo bianco e verde, risalente al 1781, l’organo del XVIII secolo rimaneggiato alla fine del XIX, due tele di Antonio Paglia di inizio Settecento, l’altare della “Presentazione al tempio” con pala di Luigi Sigurtà, la pala dell’altare maggiore cinquecentesca di scuola veneta, i preziosi paliotti marmorei degli ultimi quattro altari laterali, il quadro della battaglia di Casaloldo, due statue lignee attribuite alla bottega Zamara.
Il tempio è stato sottoposto a importanti lavori di consolidamento strutturale e restauro interno negli anni 2009–2011.
Si tratta di una costruzione risalente al XVII secolo, edificata poco dopo il terribile periodo della peste che colpì tutta l’Europa, inclusa la zona del Mantovano, nel 1630 e 1631. L’epidemia, descritta da Alessandro Manzoni ne I Promessi Sposi, colpì duramente anche la piccola comunità di Casaloldo, causando la morte di circa la metà della popolazione dell’epoca.
Oltre 400 vittime della peste sono sepolte nel campo Brede, adiacente alla cappella. Tra loro vi erano anche il parroco di Casaloldo, don Lorenzo Crotti, e alcuni lanzichenecchi scesi a Mantova per assediarla.
Il campo Brede, dove oggi riposano le vittime dell’epidemia, presenta una forma arrotondata, segno che potrebbe indicare la presenza di una grande fossa comune. In passato, durante lavori di aratura, furono ritrovate alcune ossa, tra cui femori insolitamente lunghi, verosimilmente appartenenti a soldati tedeschi, notoriamente più alti della popolazione locale, che all’epoca raramente superava il metro e cinquanta.
All’interno della cappella è conservata una croce di marmo datata 1795, collocata nello stesso luogo dove si trovava in precedenza una grande croce di legno. Questa grande croce – nota come “il Crocione” – secondo la religiosità del tempo, serviva (e ancora oggi simboleggia) protezione e consolazione per i defunti.
Si tratta di uno dei pochi segni rimasti nella provincia a testimonianza di quel drammatico periodo di lutti e tragedie.
Il Palazzo Aliprandi Gonzaga è un edificio signorile risalente al XV secolo. Fu acquistato nella seconda metà del Cinquecento da Giovanni Antonio Aliprandi, ricco zecchiere dei Gonzaga di Castiglione delle Stiviere. Era il padre di Elena, sfortunata moglie del marchese Rodolfo – fratello di San Luigi Gonzaga – e madre delle Venerabili Fondatrici del Nobile Collegio delle Vergini del Sacro Cuore: Cinzia, Olimpia e Gridonia, nipoti del Santo.
Le tre sorelle poterono contare stabilmente su questa proprietà fin dalla fondazione del Collegio, avvenuta nel 1608. Il palazzo fu anche rifugio per Elena e le figlie dopo l’assassinio del marito, avvenuto nella piazza di Castel Goffredo il 3 gennaio 1593.
La facciata esterna del palazzo segue un andamento spezzato, per adattarsi al largo fossato che un tempo circondava l’intera corte. La facciata interna, invece, è caratterizzata da un elegante loggiato a vele.
All’interno si possono visitare diversi ambienti di grande interesse storico: l’antica sala di rappresentanza, che nel Novecento ospitò una scuola rurale per i bambini delle borgate di Casaloldo; una cappella gentilizia decorata con riproduzioni della famiglia Gonzaga e con il confessionale originale; un scalone nobile che conduce al piano superiore, dove una lunga galleria dà accesso a locali con soffitti a cassettoni, camini e porte in legno a pannelli, un tempo le “celle” delle Vergini.
All’inizio della galleria si trova un lavabo marmoreo, in stile religioso, destinato alle abluzioni rituali prima dei momenti solenni della vita comunitaria.
Al termine della galleria, una porta si apre su un balconcino dal quale si potevano osservare le celebrazioni religiose nell’oratorio sottostante. Nella stanza della Priora, una lapide ricorda che in quel luogo, nell’ottobre del 1645, Gridonia Gonzaga, con la sorella Cinzia, si raccoglieva in preghiera, nel presentimento della morte della sorella Olimpia.
L’Oratorio di San Luigi è una graziosa chiesetta situata sul lato orientale del Palazzo Aliprandi Gonzaga. Sopra l’ingresso laterale, che si affaccia su uno dei lati dell’elegante porticato interno del palazzo, si trova una scritta che ricorda come l’edificio sacro fu costruito nel 1645 “per la pietà e la comodità degli abitanti del luogo”.
Sulla facciata principale, visibile dalla strada, una lapide posta sopra la porta d’ingresso riporta la data del 20 aprile 1727, risalente a poco dopo la canonizzazione di San Luigi Gonzaga.
La chiesa è stata recentemente restaurata e riportata al suo aspetto originario. All’interno è stata ricollocata l’antica quadreria, in particolare gli ovali raffiguranti le virtù cristiane, che sono bozzetti dei tondi che decorano la cupola del Santuario di Castiglione delle Stiviere.
Tra le opere custodite, desta particolare interesse il dipinto della Madonna del Brasile, probabilmente un ex voto lasciato dalle prime famiglie molinellesi emigrate in Sud America alla fine dell’Ottocento.
Accanto alla chiesa si innalza un campanile, la cui campana veniva suonata non solo per le celebrazioni religiose, ma anche per scacciare le nuvole minacciose di temporali e grandinate.
La borgata Molinello prende il nome dall’antico mulino situato sul lato occidentale del canale Tartaro Fabrezza, mentre il palazzo Aliprandi si trova sulla riva opposta. Il mulino è stato recentemente ristrutturato ed è attualmente funzionante. La grande ruota in legno è l’unica rimasta delle due che un tempo alimentavano l’energia necessaria al funzionamento delle macine.
Il Mulino del Molinello è oggi l’unico superstite dei due mulini che un tempo operavano a Casaloldo; l’altro, noto come “mulino della Piazza” e situato nel centro del paese, è stato demolito nella seconda metà del Novecento.
L’origine del mulino potrebbe risalire al 1200, secolo durante il quale vennero realizzati importanti lavori di canalizzazione del Tartaro. Era di proprietà del Comune di Casaloldo, che lo concedeva in affitto tramite asta pubblica per periodi definiti.
L’affitto del mulino era molto ambito, poiché i mugnai rappresentavano, fino alla prima metà del secolo scorso, una delle figure imprenditoriali più rilevanti a livello locale.
Il Castello dei Casalodi (o castello di Casaloldo, Torre Civica o torre Casalodi) era una fortificazione di origine medievale.
La torre civica è quanto rimane oggi di questo antico castello in terra e legno, edificato per difendere il feudo dagli attacchi dei signorotti confinanti e proteggere la popolazione e i suoi beni.
Diffusi nel paesaggio della pianura padana, i castelli in terra e legno si caratterizzavano per la compresenza di tre opere difensive: fossato (a Casaloldo chiamato Serca), terrapieno e palizzata. Fondamentale era lo scavo del fossato, che, con il suo perimetro chiuso, delimitava l'area del castello e, una volta allagato, costituiva un ostacolo notevole all’assalto.
Con la terra di risulta dello scavo, opportunamente battuta e compattata, si formava il terrapieno, che recintava l’intero perimetro, eccettuato il varco in corrispondenza della porta, dove un ponte mobile permetteva di oltrepassare il fossato.
Sopra il terrapieno si innalzava una palizzata rinforzata da assi, detta “palancato”, o un solido steccato, che fungeva da parapetto per i difensori, offrendo loro riparo e un vantaggio dato dal dislivello altimetrico.
Il castello di Casaloldo pare infatti edificato sopra un dosso, di forma vagamente semicircolare, sopraelevato rispetto al piano campagna circostante: una leggera variazione altimetrica è ancora oggi visibile, soprattutto avvicinandosi alla torre, situata proprio sulla sommità del dosso.
Dunque, il castello era probabilmente costruito su una motta, ovvero un rialzo artificiale del terreno di dimensioni contenute e pianta circolare: da qui deriverebbe anche l’antico nome Casale Altum.
La costruzione del fortilizio risale probabilmente all’XI secolo ed è strettamente legata alla presenza dei conti Ugoni-Longhi, che vantavano vasti possedimenti tra Bassa Bresciana orientale e Alto Mantovano. Il castello passò poi a un ramo della stessa famiglia, che da Casaloldo prese il nome: i conti Casaloldi.
Divenuti una delle famiglie più potenti del Bresciano, intorno al 1190 i Casalodi si stabilirono a Mantova, da dove furono cacciati con l’inganno dai Bonacolsi, con Pinamonte, alla fine del XIII secolo. L’episodio è ricordato da una lapide marmorea del 1921, murata su una parete della torre, che cita la menzione fatta da Dante Alighieri nel XX canto dell’Inferno:
«Già fuor le genti sue dentro più spesse,
prima che la mattia da Casalodi
da Pinamonte inganno ricevesse.»
Il castello di Casaloldo, come molti altri della zona, era in terra e legno; in muratura aveva solo la torre portaia quattrocentesca, tuttora conservata. Era dunque relativamente facile da distruggere, cosa che avvenne più volte nei secoli.
Il castello fu infatti ricostruito e distrutto in diverse occasioni. Un tempo protetto da due torri e un fossato, il paese possedeva anche un ponte che Scipione Agnelli, nel Seicento, descrisse simile al ponte di San Giorgio di Mantova. La torre è l’unica superstite agli smantellamenti avvenuti a metà Settecento, e reca sulla facciata d’ingresso un’epigrafe con la data 4 maggio 1437, firmata da tal Bertone, probabilmente l’autore di una delle ristrutturazioni.
Esaurite le sue funzioni, la fortificazione fu gradualmente smantellata tra Settecento e Ottocento, con lo spianamento dei bordi dell’altura e l’interramento del fossato. Fu lasciata solo la torre d’ingresso, tuttora esistente, insieme a una torretta aggiunta con funzione di campanile e torre dell’orologio.
Oggi, dopo un restauro avvenuto a inizio secolo, la torre ospita la biblioteca e sale espositive. È affiancata da edifici di costruzione posteriore, come il Macello e l’Ex Casa della Pesa, divenuta nel Ventennio fascista la Casa del Fascio.
Si tratta di una villa di campagna del XVIII secolo, di proprietà dell’antica ed illustre famiglia veneziana Fario, imparentata con la famiglia Pastore di San Martino Gusnago e la famiglia Lodrini di Castiglione delle Stiviere.
È situata poco a nord del centro abitato, lungo il corso del Tartaro-Fabrezza, al termine di un bellissimo viale alberato.
Il corpo centrale è costituito dalla elegante residenza padronale a tre piani con due ingressi, fiancheggiata simmetricamente da ali a due piani e da due torrette neo-gotiche merlate. Davanti si trova un giardino all'italiana, sul retro un giardino inglese, mentre sui lati si ergono le classiche strutture delle corti rurali padane, come residenze coloniche, portici e barchesse. L'accesso al cortile avviene tramite una torre-portale detta “colombara”, elemento tipico delle corti cintate della pianura.
Sulla facciata del portone d’ingresso e su quella del corpo centrale si può notare una lapide con lo stemma veneziano, raffigurante il Leone di San Marco.
Un’altra lapide, posta sempre sulla facciata della villa, ricorda uno dei membri più illustri della famiglia: il dottor Paolo Fario, noto oculista. La lapide fu voluta dalla moglie, la nobile Marianna.
Sabato 6 marzo 2021 il Sindaco di Casaloldo, la dott.ssa Emma Raschi, inaugurò il Giardino dei Giusti delle Nazioni di Casaloldo, il secondo in provincia di Mantova.
In tale data, ricorre infatti la Giornata Internazionale dei Giusti delle Nazioni, dal 2017 in Italia ricorrenza civile.
Il Giardino di Casaloldo ha ricevuto il patrocinio di Gariwo, l’Associazione Onlus che dal 2003 promuove in Italia e a livello internazionale la creazione di questi Giardini, sull’esempio dello Yad Vashem, presente a Gerusalemme.
Il Giardino dei Giusti prevede la piantumazione di una pianta per ogni Giusto che viene ricordato per essersi distinto per un atto di giustizia in difesa della dignità umana, in qualsiasi contesto storico sia stato compiuto. A Casaloldo sono state piantate negli anni diverse piante in onore di persone considerate GIUSTE.
Alcune di queste sono state scelte dalla popolazione casaloldese, attraverso un referendum in rete che ha coinvolto tutti i cittadini. Tra i 25 nomi di Giusti proposti tra quelli indicati da Gariwo, i Casaloldesi hanno dato il maggior gradimento a Nelson Mandela, don Primo Mazzolari e Felicia Impastato, ai quali sono state dedicate le prime tre piante.
Anno dopo anno, vengono poi dedicate nuove piante agli altri Giusti nell’elenco.
Insieme ad un Giusto conosciuto a livello internazionale, poi, ulteriori piante vengono dedicate a personaggi locali, che si sono distinti per un’azione generosa e giusta. Ciò per non dimenticare che la Storia non è fatta solo dai grandi personaggi, bensì anche dai piccoli, dalle persone comuni, affinché ciò sia di ispirazione per tutti, grandi e piccoli.
Il Giardino dei Giusti di Casaloldo è divenuto luogo di aggregazione, di didattica, di educazione alla legalità e di invito alla cittadinanza attiva, ricco di simboli, come la panchina rossa contro il femminicidio, e il memoriale per tutti gli IMI di Casaloldo.
È una costruzione sfruttata fino agli anni Settanta del secolo scorso per manifestazioni aggregative della Società Operaia di Mutuo Soccorso, passata poi dalla proprietà della SOMS al patrimonio comunale, per essere restaurata ad inizio di questo secolo.
È attorniato da un lato dalla ex “Casa della Pesa” poi diventata “Casa del Fascio” e dall'altro dall'edificio del Municipio casaloldese, cui è collegato. Presenta all'interno decorazioni ed affreschi tipici dello stile Liberty, che durante l'ultimo restauro sono stati completamente recuperati.
Nel 1864 l'amministrazione comunale di Casaloldo concesse il proprio patrocinio e un sussidio di 100 lire a un gruppo di attori dilettanti del posto, che aveva avanzato tale richiesta, al fine di poter completare il piccolo teatro, che essi stavano allora erigendo. Non vi sono documenti attestanti la coincidenza di quel piccolo teatro con l'edificio oggi esistente, né è stato ancora possibile ritrovare l'archivio della S.O.M.S., tuttavia fonti orali narrano che lo stesso gruppo filodrammatico che aveva voluto erigere il teatro, dopo qualche tempo di gestione del medesimo, si trasformò nel nucleo fondatore della locale Società di Mutuo Soccorso, trasferendo nel patrimonio di questa il proprio edificio teatrale.
La Società era nata nel 1881 sotto la presidenza di Alceo Pastore, della famiglia di ricchi imprenditori e politici di San Martino Gusnago e Castiglione delle Stiviere. C'era voglia di cultura e, di elevare il popolo dall’ignoranza verso la conoscenza: si facevano pertanto anche letture collettive di romanzi. Durante il fascismo, che cancellò la S.O.M.S. per istituire il Dopolavoro, il teatro si trasformò prima in sede delle associazioni fasciste e poi in granaio.
Adeguatamente gestito, il teatro S.O.M.S. dopo la guerra è giunto in efficienza sin verso gli anni Settanta del secolo scorso e per un certo periodo fu adattato a sala cinematografica, col nome di Cinema Mignon; normalmente vi si tenevano commedie e recite scolastiche, nonché alcune feste di ballo, come quelle del veglione dei Tridui dei morti.
L’oratorio di San Vito, Modesto, Crescenzia, o Madonna di San Vito, è un edificio religioso risalente al XV secolo situato nel comune di Casaloldo, frazione di San Vito. Era già sicuramente esistente nel 1566, poiché viene riportato nella visita pastorale fatta quell’anno dal Vescovo di Brescia Bollani. L’oratorio di San Vito faceva forse parte di un ex lazzaretto.
È curioso notare come la chiesa appartenga alla parrocchia di Asola, ma sia in gestione alla parrocchia di Casaloldo, mentre l’abitazione annessa, con una fetta di terreno intorno, è di proprietà della parrocchia di Asola e gestita dagli scout. Il terreno su cui sorge la chiesa, però, appartiene al Comune di Casaloldo.
Storicamente, riguardo alla giurisdizione ecclesiastica, l’oratorio campestre di San Vito nel 1566 era compreso nell’elenco degli oratori dipendenti dalla parrocchia di Castel Goffredo, come nel 1603 e nel 1654, col nome di San Vito alle Gandolfine. La gran parte degli abitanti del luogo si chiamava infatti Gandolfini. Sul pavimento della chiesa è ancora presente il simbolo della famiglia, con l’immagine di un delfino; successivamente l’oratorio scompare dalle pertinenze di Castel Goffredo per apparire in quelle della parrocchia di Casaloldo.
Sebbene la chiesetta sia intitolata a San Vito, San Modesto e Santa Crescenzia, è nota soprattutto con il nome Madonna di San Vito: secondo la tradizione, infatti, la Madonna in questo luogo sarebbe apparsa a una bambina sordomuta, guarendola. Quando infuriava la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto negli anni 1944 e 1945, l’oratorio era una meta continua di visite, rifugio sicuro per tanta gente, luogo di preghiera e speranza.
L’oratorio è stato completamente rimaneggiato alla fine della guerra, forse perché fatiscente. Una scritta in latino sopra la porta d’ingresso data la ricostruzione al 1944. Sono andati perduti la volta affrescata, il vecchio altare e la statua cinquecentesca della Madonna in terracotta.
Negli anni Novanta sono stati portati a termine interventi di restauro sia della chiesetta – a cura della parrocchia di Casaloldo – che della casa rurale annessa, restaurata dalla parrocchia di Asola. Quest’ultima è ora adibita a base scout AGESCI.
La chiesa è aperta al pubblico e visitabile in occasione di funzioni liturgiche di carattere mariano, tenute dalla parrocchia di Casaloldo.